lunedì 20 marzo 2006

Passeggiare a Karales (Cagliari)

C’è il sole.
La meraviglia di Karales in primavera.
Guarda, da qui si inizia a vedere il mare.
Ti vorrei invitare a passeggiare con me lungo questo viale.
Su, alzati!
Dammi la mano.
Camminiamo, non c’è altro da fare, nell’aria di marzo non si può scegliere, se non di andare e lasciarsi cullare dallo scirocco che è ancora gentile e salato.
I glicini sono eccessivi; viola.
Prova a fissarli, belli, da vedere!
Quando ti cadono attorno in una nevicata psichedelica, creano un’atmosfera da fiaba per bimbe sognatrici.
Ah, fai attenzione!
Quando ti cade addosso, non stringere il viola.
Il glicine macchia!
E' il caso che tu lo sappia qui, a Karales.
Mi rilassa questo viola,almeno quanto mi rilassa questo viale.
Riesci a renderti conto che camminiamo sul vuoto?
Questa città è completamente scavata all’interno, i suoi budelli parlano di una vita segreta e ipogeica di culti antichi che si sono trasformati in cose da cristiani.
Quando è successo che la vergine Persefone si è trasformata nella vergine martire?
Quando il punico Mitra è stato assimilato a qualche santo del luogo?
Quando una cisterna è diventato bunker antiaereo?
Tutto muta, tutto cambia in questa città; tutto è identico da quando i primi pirati vennero dal mare, di ritorno dall’Egitto forse o da Creta.
Vale la pena camminarci sopra e stancarsi.
Vale la pena salire lungo queste mura antiche.
Puoi sfiorarle, se vuoi ma con rispetto, è delicatezza che ci vuole, potrebbero sbriciolarsi, vestigia di un tempo antico ancora vivo.
Non ti pare toccandole e chiudendo gli occhi di veder salire con noi donne in costume, o soldati spagnoli, o i figli del proconsole romano?
Se potesse ripetere tutto ciò che è stato detto nella sua lunghissima vita, sputerebbe fuori una babele inenarrabile di voci, ansimi, grida, sussurri, parole, preghiere e soprattutto idiomi.
Tutti, di tutti i popoli che sono passati da qui, che qui hanno lasciato un segno o sono semplicemente arrivati, di passaggio.
Allora niente si capirebbe e nulla suonerebbe uguale.
Quindi la città sta zitta, al massimo si limita a suggerire ogni tanto, sussurrando tra le vecchie case e le antiche chiese.
Niente più stomaco, vero, mentre passi tra la pietra di questa collina?
Passaggio dell’uomo per l’uomo, primo accesso all’antica Karales.
Viene voglia di entrarci con rispetto, in punta di piedi o scalzi addirittura; in silenzio, tempio vivente della storia, onphalòs del Mediterraneo.
Luogo d’incontro e di incrocio, stirpi che si scontrano e poi si mischiano nell’eterno gioco che è quello della vita, siano esse venute in pace oppure in guerra.
Sono contenta di averti con me in questa retromarcia della memoria; anche se l’ho già fatto prima molte volte, devo ammettere che è dura affrontare da sola millenni di StoriE.
Potrebbero sopraffarmi, opprimermi, portarmi via con loro, sarei solo un granellino che è passato qui nel corso dei millenni; un puntino in un puntino nella linea del tempo.
Persone che passano correndo, carri di buoi, bimbi che giocano scuriti dal sole caldo dell’estate, i cannoni del viceré, le torri, la peste, una contadina delle campagne con le sue primizie da vendere al mercato, gli invasori, un cagnolino abbaia, i bombardamenti alleati, signore bene passeggiano sotto l’ombrellino, tragedie all’anfiteatro, concerto all’anfiteatro, il palazzo viceregio brulica, nave pisana attraccata nel porto, l’antica via dell’Università dove un giovane dal cappello piumato si affretta con la pergamena in mano, il gelato in piazza Yenne, la processione di Sant’Efisio a Stampace…
Sarebbe troppo tutto assieme per me sola!
Saliamo ancora.
Facciamo questi stretti vicoli, umidi e malsani come in ogni città di mare ma così del sud.
Lasciamo che si aprano sui leoni della Cattedrale, meraviglia romanica: massiccia, antica, con un interno talmente Barocco da cariare i denti.
Amiamola così com’è, sposa incogruente, e continuiamo a salire.
Guarda, sporgiti dalla balaustra bianca, si vede tutta la città!
Quella antica: irregolare, castana, calda, che si tuffa nel mare
e
Quella moderna: regolare, argentata, fresca, che si tuffa nel mare.
Affacciati allora e guarda da qui tutto il Mediterraneo, Mare Nostrum.
Quanto azzurro e blu, odore di navi Fenice, Romane, Saracene, Spagnole.
Luogo deputato agli incontri, porto naturale, puoi immaginare la storia da quassù solo guardando le luci che si riflettono nell’abbraccio del golfo.
Si è alzato un maestrale leggero, si insinua tra i miei capelli; li arruffa, li scompiglia e li gonfia.
Sembra nato per infilarsi tra i miei ricci e frustarmi la faccia invece è identico a se stesso da millenni.
Sto ferma, pietrificata, non mi sposto neanche i ciuffi dagli occhi, mi sento unakore greca, statica e massiccia in mezzo alle intemperie, una Cariatide che osserva il Mediterraneo dalla sua balaustra.
Vorrei stare così, e così sono stata per venti secondi o per millenni, chi può dirlo?
Ti guardo ora.
Il vento è entrato anche nella tua testa, chissà se ti disturba.
Perché stai così lontano dalla balaustra?
Hai paura di affacciarti?
Mi verrebbe voglia di prenderti per mano, di portarti qui ad inspirare insieme il sale portato dal vento e ad espirare le noie dell'oggi;
ad inspirare lo iodio marino e ad espirare la fatica di una settimana
ad inspirare l’anima di Karales e ad espirare le pesantezze della tua anima…
inspirare ed espirare… inspirare ed espirare… inspirare ed espirare… fino a non pensare più a niente.
Tu sorridi, quel tuo sorriso criptico, stai pensando a qualcosa di strano e movimentato.
Guardati la mano, ce l’hai lungo la gamba.
Ho paura di turbarti, in questo viaggio nel passato, con un contatto troppo reale/contemporaneo, troppo stretto/forte, troppo
definitivo/contingente. Il tuo flusso di entità.
Non voglio che ti senta oppresso… per cui non ti guardo neanche e disperdo la mia unica lacrima nell’aria salata, esattamente come lei, degli spruzzi del mare del sud.
Voglio fare una corsa in discesa…
Voglio attraversare gli antichi quartieri lasciandomi impregnare dalle storie di grandi personaggi e di piccola gente comune che ha vissuto tra quelle mura.
Correre, ma al contempo assorbire tutte le emozioni degli stretti vicoli.
Correre col corpo nello spazio e con la mente viaggiare nel tempo.
Corro come una locusta impazzita, una di quelle del giudice bandito, senza coordinare braccia e gambe; correre in discesa, schivare gli ostacoli, passare attraverso le bancarelle, spostare persone, troppo vive per appartenere alla mia immaginazione di ora.
Un obiettivo: il PORTO.
A metà mi volto un po’, naturalmente, tu non ci sei.
Sei già salpato, forse sei già al di là del mare?
Non avrei dovuto mostrarti quell’immensa distesa d’acqua, non dovuto dirti che al di là c’erano altri posti, altre terre…altro!
È colpa mia, ho innescato la tua anima zingara, quella che non resiste al richiamo del viaggio, della scoperta.
Ma, io lo sapevo, e tu lo sapevi ancor prima…
Vai pure, fai il viaggio a ritroso, compi quello che hanno compiuto gli Shardana migliaia di anni fa.
Io, per quel che mi riguarda, corro, corro, corro, tra i vicoli fino ad arrivare al porto.
Devo fermarmi ora, ho davanti l’acqua; faccia a faccia.
Adoro i porti,
Adoro il porto,
Adoro QUESTO porto!
Mi piace lo scambio, l’idea del crocevia del Mediterraneo, mi sembra, stando qui di fare parte di qualcosa di trasversale, dei popoli e delle terre che su di esso si affacciano, odore di mirto e lentischio, come quello della mia isola.
Gente che va e viene intorno a me, che va e che torna, che si saluta, si lascia, piange di nostalgia e di gioia, risate forti allegre e nervose, ghigni inquietanti e facce smarrite, idiomi di altre coste, vita di porto;
io osservo.
Ti aspetto qui, sotto le palme, sulla panchina, mentre guardo i traghetti che partono e attraccano.
Sai già chi sono!
Quella che tiene aperto sulle ginocchia “il quinto passo è l’addio”.
Quella con lo sguardo rivolto al mare e con le spalle protette dalla città…
KARALES.