martedì 18 novembre 2008

Agosto

Queste intemperie non acclimatano
In tempi di clamore e parossismi
La maieutica dell’essenziale
Trascende l’intelligibilità.
Ma questo è superabile
Evidentemente.

mercoledì 22 ottobre 2008

Bere le bare.

La bara del peccatore o la birra del pescatore?
Entrambi o nessuno dei due.
Tra gli autori del secondo dopoguerra italiano, tra i grandi, nelle antologie, lo spazio per Tommaso Landolfi è quantomeno inconsistente.
Ed è un peccato, davvero.
L'espediente narrativo di scrivere un libro, schermendosi, come a dire di non sentirsi capaci e, forse, non sentendosi veramente in grado non per falsa modestia, è quanto di più innovativo ci abbia fornito la nostra letteratura recente.
Una prosa alta, carica ma non pacchiana.capace di accarezzare le alte vette massime del dire scrivendo senza mai risultare pesante e autocompiaciuta.
Dei travagli, dell'immobilismo, dei dolri dell'Io narrante "incapace della terza persona" non dirò per pudore, tanto vi ci si può riconoscere.
Se ne ha l'immagine di un personaggio dostoevskijano nella sua decadenza fuori dal tempo.
L'opera omnia del disagio di vivere la vita attiva.

La bière du pécheur
Di Tommaso Landolfi
Adelphi, 1999

lunedì 29 settembre 2008

Sono io il mio Minotauro

Un racconto sulla solitudine.
Un racconto sulla diversità.
UN racconto sul fraintendimento.
Nella cornice del labirinto la Bestia è sola,
ma la bestia è tutti noi, riflessi nel nostro labirinto, circondati da una moltitudine di specchi.
Ci respiangiamo e ci attraiamo da noi stessi,
come il Minotauro.
Per il fine ultimo di cercare
l'Altro
che sia un po' come noi.

Il minotauro
Testo tedesco a fronte
Di Friedrich Dürrenmatt, U. Gandini (Traduttore)
Marcos y Marcos, 1997

martedì 26 agosto 2008

Allora, al rogo.

E la perfezione arrivò.
Questo libro è assoluto, perfetto.
Non è una lettura facile, ma una lettura pregna sì.
Mi ha sconvolta, scioccata, irritata ho sfiorato la misantropia diverse volte odiando questi personaggi al limite.
All'inizio mi trovavo vicina a Kien, anche se si tratta di un personaggio estremo, per la sua cultura, il suo amore per l'erudizione e per i libri.
Quando ha iniziato a mostrarsi maniaco prima e misantropo con punte di estrema misoginia poi , l'ho odiato.
Come ho odiato la pochezza di Therese, la miseria del nano, la violenza del portiere.
Anche l'unico personaggio positivo del libro, il dottor Georg, mi ha irritata oltremodo, la sua brama di consenso mascherata di filantropia è quasi più ignobile del dichiarato odio per il genere umano del fratello.
E' un libro scomodo, doloroso, non vi è un'identificazione del lettore con nessuno dei personaggi, perchè essi generano troppa distanza dal "normale" sentire.
E tanto più odiosi ci risultano proprio perchè in loro sentiamo e vediamo certe bassezze delle nostre vite che aborriamo, portate al limite, estremizzate, quasi cristallizzate in un'idea platonica (nel senso di purezza del concetto) dell'uomo negativo.
Perchè, come dice Canetti per bocca di Georg verso la fine del libro dopo aver dedotto che la pazzia è dovuta alla massa che è in ognuno che alla fine prende il sopravvento sull'individuo se ne esce con una fase notevole: "la cultura è il salvagente dell'individuo contro la massa che è in lui".
Alla fine sono appaiono i pazzi gli unici veri sani del romanzo, perchè quelli che sani si proclamano risultano i più assurdi di tutti.
Lo stile di Canetti è favoloso, erudito senza pedanteria se non dove è strettamente funzionale alla narrazione, capace di creare immagini, definizioni, cambi di stile e registro inseguendo quella che è la realtà dei sensi e accavallondola con la realtà onirica che nasce nella testa di ognuno dei suoi terribili personaggi che vengono osservati da mille prismatiche sfaccettature.

Auto da fé
Con l'aggiunta del saggio "Il mio primo libro: Auto da fè"
Di Elías Canetti, Luciano Zagari (Traduttore), Bianca Zagari (Traduttore)
Adelphi, 2001

lunedì 30 giugno 2008

Quando l'ultimo Saramago misto a Orwell si perde a Torino

Secondo romanzo del sardo (o apolide?) Alessandro De Roma che si cimenta in un genere che in Italia è ormai un pò trascurato ovvero la fantascienza.
Lo stesso autore ha definito il romanzo ispirato a questo genere ma a mio avviso c'è molto, molto di più.
Innanzitutto i riferimenti Orwelliani più o meno sottesi si rimandano di pagina in pagina, la sensazione del Big Brother incombente, il senso di oppressione, di controllo totale, di perdita del concetto di uomo quale animale sociale, un concetto, forse un pò esistenzialista, di individualismo.
E il Saramago di Cecità è presente, ma qui l'uomo con gli occhi ci vede benissimo ma ha la mente ottenebrata da una non meglio precisata malattia che gli fa perdere la memoria e quindi il concetto stesso della sua essenza.
Così anche il lettore si ritrova col protagonista Giovannino a camminare smarrito per le strade di Torino, cosa semplice per chi, come me, non conosce per niente la città, in mezzo a barbi e apocalattici, degenarazioni dell'animale uomo, passivi e in-coscienti gli uni, famelici e arrabbiati gli altri.
Nell'utopia (o meglio kakotopia) della società perfetta controllata dai pochi, destinata alla sottomissione totale della masse non manca un'allusione a farenheit 451 dove la pedina impazzita del sistema si rende conto ma, Giovannino è totalmente sottomesso e soggiogato che anche la su, eventuale, reazione è pilotata dall'alto.
Rimane un senso d'angoscia, la coscienza e l'esigenza di preservare, di ricordare, affinchè l'essere umano possa autoproclamarsi tale.
Un libro che mi è piaciuto molto anche se un pò meno del precedente "vita e morte di Ludovico Lauter" ma credo che questo sia dovuto principalmente ad una questione topografica.
Vi aspetto dunque per "una cioccolata, subito pronta, densa in tazza" vero tormentone del libro, rimando, neanche troppo implicito insieme al catalogo delle meraviglie, al barbaro appiattimento della ragione perpetrato da mammativvù e similari.

La fine dei giorni
Di Alessandro De Roma
Il Maestrale, 2008

giovedì 6 marzo 2008

Anche i bacilli piangono

Scorrere sotto pelle
Unirsi a cellule altre
Nella vanità di essere
Entità diversa da me
Prendermi il piacere
Leccando ferite estranee
Sentirmi medicina
Piuttosto che veleno,
L’illusione della condivisione.

Per poi scoprire
A giochi fatti
Di essere vaccino
Non bianca malattia