martedì 19 ottobre 2010

Running over the same old ground

Un altro passo sulla solita vecchia terra,
un'altra corsa verso una nuova percezione del mondo.

So, so you think you can tell
Tu lo pensi?
Io non ne sono più così certa.
Le dicotomie si sfasciano in un imbrunire di forse
la necessità non esiste più
e la concezione comune di Bene e Male si avvolge nelle spire di una possibilità negata.

Poi va avanti così
per molti chilometri di pagine bianche e di singulti in sussurro,
poi va avanti così
e non possiamo farci niente.

And did they get you to trade
Il baratto sì,
il cedere la propria vita per altri,
il martirio senza sangue di una negazione
ceste di carezze in cambio di un passo avanti
l'ennesma ruota di scorta di un'automobile senza benzina
che ci si ostina a spingere lungo la discesa.

And did you exchange
A walk on part in the war
For a lead role in a cage?


L'abbaglio, il fuoco che brucia.
La strada in salita, la doccia fredda.
Sparpagliamo i pezzi di cuore infranto affinché ne nasca una nuova progenie di creature senza paura, di semidivinità sorridenti.
Deucalione e Pirra della distanza,
chissà dai semi di cuore si possa nascere e non morire.
La terribile sensazione di essere stato in angolo,
l'uno qualunque, nella guerra.

(Sapere che poi non sia così è solo un altro dolore da aggiungere alla pila in quilibrio precario, dove, uno alla cima, più grosso di uno alla base, può far cadere tutta la torre.)

La verità sta qui
We're just two lost souls
Swimming in a fish bowl

Pesci al contrario
che usano la pancia come dorso
perché temono la ferita alle spalle.

What have we found?
Il calore dell'esistenza improbabile
il palpare le notti per sentirle reagire sotto le dita
le urla soffocate in un cuscino
la pioggia
i sogni ricorrenti
la pioggia
le cartelle da scambiarsi per aiutarsi nella salita
la pioggia
gli occhi da orientale
la pioggia
un sussurro
la pioggia
un sussurro
la pioggia
fino alla fine.

The same old fears.
Ritornate fuori dal baule dove erano state dimenticate
ingigantite dall'assenza
nutrite dal silenzio
eccole tornare, le medesime.

Cacciamole,
cacciamole nell'unico modo possibile.

Per questo.
Wish you were here.

lunedì 18 ottobre 2010

LA SINFONIA DEL SENZA - Primo Movimento

2 La rota

Prima di tutto viene il freddo.
Secco, totalizzante, parte dalle ginocchia dai polpacci, corre in un lunghissimo brivido ma è quando raggiunge le spalle che diventa inafferrabile.
Allora tutto è una morsa di gelo che avvolge completamente e al quale ci si può solo arrendere ballando la danza del tremore, acciambellati, perché le ossa si scontrino l’una con l’altra per tenere il tempo.
Non c’è nient’altro che il freddo che continua ad avvolgere finché non entra dentro ed è impossibile da scrollare via una volta che ha raggiunto il cuore e anche i battiti vanno al tempo del tremore.
Come se a tenerti in vita fosse una sostanza esterna, come se non ce la facessi più con i cani che ti mordono la pancia.
Da dentro.
Quindi pare una soluzione rimanere arrotolati su sé stessi in attesa che la mancanza venga colmata e sai che le scelte sono sempre due.
Dicotomiche.
Morire o guarire.
Per tutto il tempo dei capelli strappati e delle braccia divise dal corpo, poi l’apnea e l’aria che se ne va.
Il momento del palliativo, della sostanza simile, dell’effetto di “forse può andare bene anche così” e invece no, non è la stessa cosa, lo senti ma ti adegui e nell’adeguarti, urli.
Morderti i polsi, perché un altro dolore ti faccia dimenticare di quello più forti, dove le vene ostentano un battito che vuole farti credere che vivi ancora.
Tra le due alternative la prima è quella più vitale.
E no che non bastano i surrogati, è proprio quella sostanza che vuoi, quella stessa che ti rendeva una creatura meravigliosa prima che decidessi di farla finita.
O che qualcuno decidesse per te.
Ma non ti prendere in giro, non ora che sei a buon punto, lo sapevi che quel bene era sbagliato, lo sapevi che ti avrebbe giovato solo per un momento e adesso ci ripensi, ma era lo stesso stare bene che avevi atteso da una vita, l’apice dove guarire e un imposizione del mondo e, forse tu, fra le due, avresti scelto la più vitale.
Poi il controllo costante di chi “ti vuole bene veramente” che ti allontana dalla pericolosa dipendenza, che fa di tutto per toglierti dalla testa quella roba che ti ha rubato l’anima.
Non sei più quello di prima, lo vedono gli altri nei tuoi occhi sempre altrove, lo vedi tu nella tua estasi.
Poi i muscoli si irrigidiscono e continui a dire cose incosulte e inconsuete: il delirio.
Sbatti la testa al muro e ti appoggi alle porte per sfondarle, perché vuoi la tua dose di benessere, la rivuoi.
Subito, perché della seconda possibilità non te ne frega nulla, subito, ben venga la prima scelta anche per solo un altro momento, morire così, piuttosto che non aver mai vissuto.
Nessuno alle porte, troppe chiavi a chiuderle e tu sei troppo debole per insistere.
E allora dormi, un sonno pieno di incubi e di sudore, un sonno pieno di mancanza e di solitudine, il sonno dei perduti dove affoghi senz’acqua perché anche quella ti è stata negata o così ti pare, come ogni gesto della quotidianità senza la sua mediazione.
Succede che poi un giorno ti alzi e non ti fa più male nulla.
Succede che ti alzi e riesci anche a sorridere a qualcun altro.
Succede però che se pensi a quel tempo, diventa per te impossibile non andare a cercarla.
Succede che cammini per strada, ma niente è più uguale a prima di allora.

domenica 3 ottobre 2010

Piove a Milano

Milano sotto un acquazzone di malinconia che fa sentire la nostalgia mentre le cose ancora accadono, piove a Milano.
I tavoli dei Navigli hanno perso le tovaglie e rimangono lì nudo legno scuro come iridi di occhio troppo nero per essere fissato.
Piove a Milano e prima non pioveva aspetta che sia il momento giusto, Milano, per pioverti addosso tutte le lacrime che piangerai domani col sole pallido.
Piove a Milano, nel momento esatto in cui è necessario perdersi e non lo si fa per paura di non trovare il ritorno e no, i passanti da sotto agli ombrelli indicherebbero senz’altro la via più facile e noi, della via più facile, non ce ne facciamo niente, a Milano.
Le case di ringhiera si sciolgono per un contatto di ginocchia fintamente distratto, le guance si arrossano in attesa di una goccia di pioggia a mitigarne l’imbarazzo, così piove sulla Milano del grigio pallido.
I Navigli si gonfiano in un respiro affannoso che non riesce a star dietro ad un cuore che batte troppo veloce, piove a Milano in un effetto scenico da film in bianco e nero, piove in una Milano sorniona e ipnotizzata.
- E’ bella la pioggia.
- Sì, è bella.
E poi niente che tanto la circolare interna neanche si sente sferragliare quando piove, a Milano.
Dopo è necessario lanciarsi sotto l’acqua per sentire che ancora le mani ti appartengono e non le hai vendute in cambio di un happy hour, infatti dell’ora felice non importa a nessuno, ciò che conta è un contatto fugace.
Piove sulla Milano dei distratti ché l’ombrello è fatto per essere riposto nel fondo di borse troppo grandi e l’odore del bagnato sul cemento è già l’indicazione giusta di dove si sta andando, piove a Milano, finalmente.
Bisogna schivare le rotaie dei tram, e correre fianco a fianco alla porta Ticinese, quella nuova per fingere di bagnarsi di meno, come che smetta di piovere, a Milano.
E allora perdersi, tutt’intorno alla circonvallazione, vagare con la pelle d’oca e il sorriso dipinto mentre piove ancora e sempre ed è vietato parcheggiare quando piove, a Milano.
Andare senza meta e senza fermarsi, come che la pioggia e il traffico a Milano siano non solo compatibili ma anche belli.
Non ci si può accarezzare sotto la pioggia di Milano è concesso solo un abbraccio troppo veloce per ripararsi dall’acqua.
Mentre di nuovo si attende la pioggia.
Che un’altra volta piova, a Milano.