giovedì 26 febbraio 2009

Un amore del nostro tempo

Quest'uomo sapeva scrivere.
Di fronte a tale padronanza della parola molti scrittori nostrani dovrebbero fare un mea culpa cospargersi il capo di cenere (che è pure il periodo buono) e consegnare la penna finchè non perdono un po' di boria.
A parte gli scherzi, questo libro non è come la biere nei confronti del quale l'identificazione del lettore è, per certi versi, immediata.
Questo libro è scomodo, se non fosse per la filosofia della felicità, della libertà individuale v/s leggi umane, della teoria dell'uomo animale sociale di cui è intriso, specialmente nella parte finale, sarebbe molto difficile arrivare in fondo.
Questa teoria ricorda il leggi umane/diritto naturale o divino di Sofoclea memoria (per la precisione mi riferisco al mito di Antigone) ma questa volta il ribaltamento è ancora più assurdo perchè la coppia incestuosa va a sfidare sia le leggi di stato sia le leggi naturali/divine, anzi, se si vuole più marcatamente queste ultime, a favore di una legge, quella dell'amore che non pare però trovare altra via che quella della fuga.
Il rimorso, la possibilità, il dolore, il ritorno.
E' difficile anche stare totalmente dalla parte dei due, anche capirli e accettarli, pur nell'ambito della finzone letteraria è inevitabile non immedesimarsi in qualche modo in un romanzo e qui è quantomeno difficile, un po' per educazione,un po' per istinto di conservazione della società umana.
E' un libro scomodo, non aprezzato particolarmente neanche dai "fans" di Landolfi del periodo che lo hanno accusato di Dannunzianesimo e di esagerare le sue ben note qualità a favore di un manierismo tracotante.
E, sempre dalla postfazione, apprendo che questo libro ha visto la ristampa solo nel 1992.
Può anche darsi che non sia l'acmè scrittorio di Landolfi, ma, e a pensar male ci si azzecca sempre, qualcosa mi dice che l'Italia democristiana, catoniana e perbenista della ricostruzione postbellica non apprezzasse particolarmente l'argmento trattato anche perchè c'è una sorta di happy end, non personale ma, che è peggio, sociale.
Il riconoscimento civile, seppur celato e non diretto alla coppia è comunque inaccettabile, per allora e anche per ora, nonostante Landolfi indori la pillola con l'introduzione in finale della parola "peccato" che non appare mai nel resto del libro se non per essere immediatamente considerata nulla.
Considerazione di contenuto a parte è un libro duro per contenuto e ostico per lessico e scrittura, ma Landolfi rappresenta la vetta naturale della possibilità di dire in lingua italiana e a me non resta altro che divorarlo tutto avidamente.

Un amore del nostro tempo
Di Tommaso Landolfi, Idolina Landolfi (Curatore)
Adelphi (Biblioteca, 265), 1993

lunedì 23 febbraio 2009

Ben Vegnù

Gio 19 Feb – Paolo Benvegnù: Cinema, Siniscola
Siniscola è un ridente borgo marino sulla costa orientale sarda, d'estate paradiso del bagnante che vuole la tranquillità ad un tiro di schioppo dalle luci della costa Smeralda, d'inverno surrogato di noia come solo la Sadegna costiera invernale riesce ad essere.
Mi è parso dunque strano sapere di un concerto di Paolo Benvegnù proprio lì, ma gli eventi sono eventi e a Benvegnù non si può rinunciare, scoprendo di non poter proprio esserci alla data di Cagliari mi faccio i miei 200 e passa km per arrivare a Siniscola.
Il locale è semivuoto quando Paolo e la band entrano e il poco pubblico che c'è mi pare, tra l'altro, parecchio disinteressato.
Meglio, mi godrò il concerto in intimità, come se suonassero solo per me, come se gli strali di Paolo arrivassero a dilanare solo a mia anima, in una egoistica prosecuzione della mia cameretta.
Ma non c'è il cd nello stereo, a cantare è proprio il Benvegnù in carne e ossa e me ne accorgo subito, il suo carisma riempie il locale già prima che proferisca verbo e non appena intona "tutti i respiri che hai..." il cuore si ferma un po' e "La Schiena" è scavata da più di un brivido.
Paolo sarà impeccabile, lo capisco dal primo istante e si schermisce ringraziando le 5 (di numero!!!) persone che sono arrivate lì a sentirlo.
Si presenta, e mi pare surreale, e mi pare anche surreale che debba spiegare chi è, con l'umiltà del leader del gruppetto delle cantine al suo primo concerto, forse cosciente del pubblico che ha di fronte ma da questo per niente disturbato e aggiunge "noi siamo noti per fare delle canzoni straordinariamente tristi ma in realtà siamo dei buontemponi."
Continua con "La peste" e lì mi accorgo che Paolo ha una signora band di eccezionali polistrumentisti, poi è il momento de "l'ultimo assalto" eseguito con la dignità di un Napoleone nella sua Waterloo di Eros e Venere.
Ma è su "La distanza" che si ha il crollo emotivo vero e proprio (o perlomeno a me succede) un po' urlata, sbattuta, soffocata e sottolineata da un suono più marcatamente rock, da far aprire gli occhi e la bocca in un dolore sublimato ed estatico.
Continua con i pezzi Le labbra, fa, più o meno nell'ordine, "1784", "interno notte", "amore santo e blasfemo", alternando momenti di sublime delicatezza e altri un po' più duri, suona ad occhi chiusi senza neanche una sbavatura, nonostante gli avventori che sbevazzano al bancone con le loro voci tentino di superare il volume degli strumenti, e mi chiedo come si faccia a non bloccarsi, a non fermare qualsiasi attività umana, come fanno le orecchie a non essere trafitte e a voltarsi colmi d'ammirazione, come succede davanti al Bello in qualsiasi sua forma.
Mi accorgo che live questo "concept album" , come è stato definito da un'amica, dell'amore non corrisposto, doloroso, rifiutato e triste, ma non per questo meno vitale e palpabile, diventa straordinariamenrte carnale e variabile.
Ma "adesso facciamo una pausa con le canzoni tristi e ne facciamo due un po' più...un pochino meno tristi, ma dopo torneremo nella tristezza sconfinata." dice Paolo e attacca con una "cerchi nell'acqua" spettacolare seguita da "Il mare verticale".
Finisce "Le labbra" con "il nemico" e "Jeremy" e forse qualche altra, è difficile ricordare quando si è persi in se stessi perchè un esterno canta parole così reali accompagnate da una musica che le incanala dritte allo stomaco.
Ma ora molto è tratto da "Piccoli fragilissimi film" , "fiamme", "il sentimento delle cose" e su "Suggestionabili" parte il delirio.
Da questo momento il concerto prende una piega altra, si raggiungono vette musicale notevoli crossando i generi più diversi, dalla classica del violoncello al rock duro con tanto di mossette e corna al cielo.
Poi ad un certo punto si arriva a parlare di politica e della triste situazione che ci troviamo a vivere e nello specifico l'esito delle nostre regionali,
l'esecuzione di "Sintesi di un modello matematico" è attesa più che ipotizzata.
Poi presenta la band di Sosia definendo se stesso il sosia di Raimondo Vianello.
Ed è durante il bis che parte il siparietto su Sanremo dove il bassista e voce diventa il Pupo di gelato al cioccolato, il batterista un Belli afono più che mai e Benvegnù si limita a interpretare "quel povero cristo che chissà quanto l'hanno pagato" in una versione che francamente pareva più sudtirolese che africana.
E a sorpresa parte Simmetrie a ricordare quegli Scisma che sembrano lontani una vita ma che risalgono alle labbra quasi di ritorno dalla loro sepoltura di oblio.
E quando finisce Paolo dice "Grazie Pupo per averci donato questa canzone" ridiamo in due.
Qualcuno la sta ancora cercando tra la discografia del cantante paccaro...
Finisce così uno dei concerti più surreali ma anche più empatici della mia vita dove a volte, guardandomi intorno ho avuto la percezione della splendida decadenza, della nobiltà del cantante sul palco che si donava senza risparmiarsi, perfetto, e il mondo intorno continuava a girare beato, musica di sottofondo, come in un chiosco su una spiaggia negli anni '60.
Fa una presentazione, ora reale, del gruppo, salvo poi chiamare se stesso il cantante dei camaleonti.
E poi "Accoppiamoci! Accoppiatevi se potete e se volete anche con noi".
Un concerto che scarnifica, che lascia nudi ma puliti, catartico come un'antica tragedia greca di amore e morte,
- Paolo, le labbra...
- ...sono solo canzoni...
Non per chi le riceve, non per chi le ha avute così, regalo inaspettato, come quando da piccoli qualcuno ti diceva apri la mano e ti posava sul palmo una farfalla catturata, immensamente bella, ma già quasi finita.