lunedì 21 febbraio 2011

Tutt’al più.

Così mi sono svegliata una mattina e non avevo più niente da provare, forse perché tutto (o quasi) era stato provato e forse perché tutto (o quasi) era stato indossato troppo intensamente, rimirato allo specchio, usato e consumato.

Sì, intensamente.

(La mia coscienza paroliera non vuole che si usino gli avverbi, lui ha fatto un tuffo in una piscina di rimmel, mi perdonerà per il disuso di formule non mie, tanto l'oro non lo trovo neanche oggi, sono un'alchimista di smalto e fuffa io, tutt'al più riuso e sintetizzo.)

Acidi e alcolidi, sapessi cosa sono già sarei bella che curata.

L'apatia, declinata in indifferenza, sintomi chiari e fastidio perpetuo, ronzio atemporale.

Ho provato anche di nuovo le unghie livide, blu fiorentino, come a Palazzo Vecchio.

Quando l'unico pensiero era Caravaggio, Michelangelo tutt'al più, Botticelli, invece, mi pensava lui; Dante declamava e Dente nelle orecchie, tutt'al più gli Amor Fou, Boccaccio non lo ascoltavo, mi ascoltava lui sproloquiare di Petrarca.

Il risultato ottenuto è stato il Niente, lettera di un maiuscolo nichilista, come se la pelle non mi rispondesse neanche se interpellata, urlata a giudizio.

Eppure io un tempo piangevo, la via delle lacrime è tracciata dai rivoli: guancia destra e sinistra, non avrebbero neanche da scavare, e pure le fossette per sorriderci dentro a quel fiume sono state scalpellate cosa resta se non l'impossibilità di usarle?


 

Mi sono semplicemente dimenticata come si fa, più comoda è una stanza di bombardamenti atomici, di orecchie trapanate dall'impossibilità, di nasi otturati al ricordo.

Illudersi che possa provocare un po' di sofferenza, l'assenza, porta per conseguenza la disillusione di non sentirla affatto.

È stato un movimento lentissimo, tanto che non l'ho percepito fino a che non è finito: prima la mano destra s'è poggiata sulla stessa spalla e ha preso per un lembo l'elastico, la spalla s'è piegata di conseguenza e il nastro è scorso lungo tutto il braccio, indecisa, ho provato a trattenerlo sul polso, a pesarlo, vedere se rimandarlo indietro con lo stesso movimento ma al contrario.

È scivolato lungo la mano, palmo, dita, non più.

Sfilare l'altra parte è stato più semplice, è bastato strapparla via con la mano destra libera, un colpo secco.

Mi sono rimaste in mano, così, le ali.

Piegate e messe in tasca.

Mi preparo un post-it

Le ali le hai messe in tasca

Lo attacco alla testa del letto, visto mai che mi cresca un grattacielo sotto mentre dormo e dovessero servire all'abbisogna.


 

La tendenza è quella di essere smemorati quando si è indifferenti e sorridersi di circostanza allo specchio, appena conoscenti, spazzolino in bocca e parlare del tempo, un gargarismo per illustrare la crisi e spazzolarsi i capelli raccontandosi che le nuove generazioni hanno sempre meno valori, la ben nota svalutazione giovanile, l'ha scritto anche il Sole 24 ore.

E poi correre a chiudermi l'ascensore alle spalle per fare più in fretta di me, fastidioso fare tre piani con così inconsistente compagnia.

Ho dimenticato in casa l'accendino, e con questo sono cinque, ma non si torna nel luogo del delitto, non subito, mi scoprirebbero, ne comprerò un altro, lo voglio giallo.

Provo a tuffarmi ancora molto bene, non serve, neanche questo, eppure un tempo maceravo con i tuffi olimpici.

La giuria vota:

3.8 4.2 6.9

L'ultimo giudice è cieco.

Potevo approfittare del trampolino per volare via, forse.


 


 

Dove ho detto che ho messo le ali?