venerdì 15 maggio 2009

Ichnusa

Tu immagina che in tre ore di macchina arrivi da una punta all'altra del sandalo.
E parti dal mare e arrivi al mare.
Il mare è lo status quo, quasi verticale per citare Benvegnù nel senso di muro, ostacolo.
Però è anche la strada, pontos in greco, l'assonanza col passaggio.
E passaggio lo è un'isola, l'isola E' se stessa nel suo inverno di solitudini e di staticità, l'isola è una scelta di vita matura, è l'Itaca che si agogna ed, una volta raggiunta e capita, si deve abbandonare "ma per seguir virtute e canoscenza".
Se non si va, se non esistesse un altrove non si capirebbe l'HIC, non si apprezzerebbe,e, infatti, non lo apprezzo in toto.
Il lungo maestrale invernale, che tutto chiude e tutto spazza e niente intorno.
Mode passate in un altrove di terra ferma s'impongono con prepotenza come fossero una novità.
E chilometri e chilometri nel nulla prima di incotrare un'altra fila di case cadenti.

La differenza dell'isola di Ichnusa sta negli occhi di chi ci vive.
Occhi duri, glaciali, al contrario della terra calda e del sole di mezzogiorno che faceva tenere in casa i bambini d'estate con la minaccia di essere rapiti da "sa mama 'e su sole" bruciante e insolente.
Occhi di chi si è visto sfilare davanti genti, suoni, colori e sapori che non conosceva.
Genti che hanno preso e portato via, lasciando pianure vuote per foreste
comequando si lascia l'amante per tornare alla borghese famiglia perfetta.
E' paura della violenza, del dolore, dell'abbandono di chi poi parte lasciandoti lì a guardare lo scafo che si allontana.
Sono occhi scuri, malinconici, spesso tristi, come gli occhi che osservano un di là che non hanno mai visto.
E poi,
silenzi, chili e chili di (lunghi) silenzi.
Spesso si parla con gli occhi che dicono molto, tutto, troppo e quindi li si abbassa per non farsi rubare l'anima.
La mia rugosa isola, antica come l'inizio del mondo, è un cordone ombelicale che le forbici non tagliano...mai...
Ma da qui molti vanno via, riempendo di cose di qui le case del mondo.
Perchè poi, superata la diffidenza, se si riesce a sostenere quello sguardo di caverna, poi è tutto più semplici e si diventa amici, fratelli, ospiti.
La sacralità dell'ospite di Iliaca memoria.
E lui sarà tutto, il tuo tutto, quando ci si dà non esiste farlo a metà o in parte, si da. E basta.
Ma il cuore no, il cuore è una cosa sacra e si affida piano e con garbo, tu puoi dirti amico ma l’anima è volatile ed inafferrabile.
Per ogni Shardana in giro per il mondo, novello Ulisse, c'è una Penelope che tesse una tela lunga quanto il mondo, una Penelope, madre, padre, amica o amante.
E l'Ulisse, lì, anelerà sempre alla sua Itaca, sognandola e bramandola, quella sua arcadia, che ha sempre un po' di poesia in più filtrata dalla lontananza.
Poi, una volta lì, stringe le mani a tutti, li guarda con i suoi occhi duri ma abbagliati da altre viste, da altro Bello, da altri mondi e arma le navi per ripartire.