domenica 27 dicembre 2009

Anziché perdere tempo/ Preferisco buttarlo via,/Anzi, mi correggo/ il tempo va consumato.

Mi sono consumata anche io come il tempo in questi dieci anni, come la prima volta che sfogliai dissoluzione, le poesie (che poi sarebbero anche diventati testi di canzoni) di Morgan, l'allora 26enne leader dei Bluvertigo.
E adesso che io ho la sua età di quei giorni, rileggo dei passi con molta tenerezza riconoscendovi un percorso, il mio riconoscendovi una distanza da un'adolescenza che tra le pagine dissolte si specchiava.
E' un libro che si scioglie, che si disintegra in mano come i pensieri dell'autore,rimasticati come gomme postbelliche che rimangono utili in ogni occasione anche quando la poesia sembra non riuscire ad uscire dalla tasca dopo il tramonto.
Il pop aforisma pret a porter che sta bene in qualunque occasione, la commozione dell'allora con la ratio di oggi mi fanno dire che meritava comunque la ristampa.
Una nota stridente che si insinua, come un accordo sbagliato, tra il lirismo giovanile di un musicista e pagine, francamente, molto mature e icastiche, è proprio questa seconda edizione.
Se il libro è oggetto deve infatti anche appagare i sensi, la copertina nera era molto più consona, più in tono con le pagine che sfogliate, rimandavano alla ricostruzione di un uomo in pezzi.
Dissolto?
Forse sì, forse sciolto in una nuvola di giacchine rosa e ciuffi grigi, la copertina acchiappacitrullo con lo sguardo da dannato( fortuna che è una sovracoperta), finirà nascosta tra cimeli in disuso, quelli che metti in alto e che non vuoi arrivare a tirar giù.
La prefazione di Cinti è superflua e piuttosto vacua.

Dissoluzione
con una nota di Enrico Ghezzi
Di Marco Morgan Castoldi, Enrico Ghezzi (Collaboratore)
Bompiani, 2009

giovedì 10 dicembre 2009

Libera nos a maluamen

Non capita spesso, no, che i libri ben scritti vadano oltre il piacere sensoriale della parola finemente articolata.
Non capita spesso che le inflessioni dialettali e l'italiano popolare, quello regionale e marcatamente caratteristico di una zona si amalgamino alla perfezione con un'eufonia rara.
E non capita spesso che questo alto scrivere diventi spassosissimo per le innovazioni stilistiche e di contenuto.
Di regionalismi, essì, ne abbiamo un po' piene le tasche ma questo è fuori da ogni sospetto di moda, lontano nel tempo e nello spazio come Malo.
Io sono sarda, per cui il veneto non lo mastico affatto bene, e ciò mi sono divertita però.
Ci ho provato anche io, ci ho provato a pensare a come quella vita di Malo negli anni '30-'40 fosse così simile a quella di un paesino sardo negli anni '80-'90 con le macchiette, i personaggi caratteristici, i modi di dire e di fare.
E così, giocando, giocando ho pensato che nella mia infanzia non ci furono (fortunatamente) canzonette fasciste delle quali poter mistificare i senso.
Ma quando ero piccola io c'era Ligabue (ahimè)
così cantavo
certe notti la radio che passa negli anni
sembra avere chi tu chi sei.

Perché l'autobiografia nel parlare di Libera nos a Malo?
Perché non si può fare altrimenti che calarvisi dentro e riviverlo sulla propria pelle declinato nel proprio mondo.

Libera nos a malo
Di Luigi Meneghello
BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2006