domenica 3 gennaio 2010

E la società, dopotutto, era semplicemente una cattiva abitudine

Immaginate di rimanere soli sulla terra, risalendo dal cuore ad imbuto del pianeta dove avreste voluto incubarvi, essere l'unico umano emerso in un mondo di evaporati.
Allora voi, cosa fareste?
Semplice, pensereste che il mondo è in vacanza, altrove che siete vittima di uno scherzo di qualche entità mai nominata e, in fondo, mai neanche contemplata.
Così voi, il meno allineato di tutti, il meno socievole, misantropo e solipsista diverreste l'umanità e, parlando di voi a voi, parlereste del genere umano al genere umano: "quel <> non suppone niente e nessuno. Rivolto a me è un pleonasmofunzionale. Mi tiene compagnia".
Il romanzo della solitudine totale e annichilente, dapprima agognata poi vissuta quasi come una punizione, il monadismo costretto.
E il genio di Morselli sta qui, nell'impossibilità. L'impossibilità della lamentazione à la monologo interiore novecentesco.
Il protagonista è solo, talmente tanto che è incapace e disinteressato ad un analisi personale di tipo approfondito, talmento tanto da non avere neanche un nome, tanto nessuno lo chiamerebbe.
C'è anche una natura ritrovata ma non si perde in un arcadismo di maniera, ciò che è tecnologia è necessario per mantenere un contatto, perlomeno simbolico, con ciò che fu umano.
Si vaga dunque tra la filosofia e la psicologia, tra la sociologia e la letteratura in uno scorrere di citazioni ricercate, gemme di erudizioni alessandrine a partire dal titolo.
La lingua poi, così ricca e complessa, mai banale, mai scontata nelle sue immagine si arpiona ai visceri.
Una lingua capace di dare piacere e dolore, la lingua della vertigine dell'abisso, dove l'Umano è, irrimediabilmente, solo.

Dissipatio H.G.
Di Guido Morselli
Adelphi, 1985

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