Le canzoni di Vinicio Capossela, il poeta ubriaco del Chiavicone, stanco e perduto, prendono vita in questo libro.
Tutti i personaggi si creano e si celebrano ed ampliano la loro esistenza oltre i 3 minuti e mezzo medi di una canzone, arrivano, a tutto tondo.
Così scopriamo i retroscena dell'amicizia con Nutless, la poetica del Chiavicone, i Balcani in Volvo, la clandestinità dei Motel e Stanbul il Ponte.
Per quanto sia interessante nel contesto della compresione e della visione della poetica Caposseliana, il libro pecca un po' per eccesso.
Prolisso e verboso perlopiù, non malscritto ma ridondante e roccocò.
Ci sono dei capitoli che accendono il desiderio di un canto antico come il suono dei Balcani o della Grecia, altri stanchi e perduti, altri abbacinano per la reatà dell'umano che abbracciano, altri, molti, perfettamente inutili.
C'è quasi dappertutto una piccola perla sparsa un cammeo riconoscibile, una specie di sphragis che fa dire "questo lo conosco" e sorridendo, riporta a una melodia.
Nelle radiocapitolazioni scorre di più e meglio, non foss'altro perchè Vinicio scrive come canta, rapsodo post-moderno.
Altro neo è che forse l'idea del romanzo unitario è un po' ambiziosa, volendo demolire lo schema narrativo si rischia solo di perdersi in pensieri non associativi ma, apparentemente, incoerenti.
"Vanescio, ma che coss'è l'amore?"
Amore è aver finito questo libro d'un fiato nonostante la pesantezza oggettiva e la, purtroppo, poca coerenza interna.
Nessun commento:
Posta un commento