lunedì 19 aprile 2010

Eyjafjallajökull

"Le parole sono importanti" e siamo tutti d'accordo.
Le parole sono fatte per essere pronunciate prima di tutto e poi, nel caso, per essere scritte come quando si dice Bene.
Il male interviene quando le parole diventano impronunciabili tanto che non si può dare più un senso al nesso signficante/signficato e così passano sotto le ascelle dell'ascoltatore, nella zona più calda, per esservi custodite, un buon modo per bloccare i continenti.
Così la stessa parola "impronunciabile" diventa alibi, la desueta gag di non dire "amore" perché sarebbe troppo, quei retaggi da primo comandamento dove "innvano" è il secondo alibi.
Bisogna strizzare le palpebre per rendere le parole intelligibili, l'inumano sforzo della comprensione seguita solo dalla vertigine della pagina bianca dove non c'è parola. Il regno candido della non-esistenza.
Arriva poi il momento in cui è necessario pronunciarle, certe parole, e il terzo alibi è pensare che non appartengono alla tua lingua.
Inesatto, quantomeno, le parole sono parole per sé stesse ed è inutile tenerle in fondo alla gola, dopo duecento anni verranno fuori e avranno effetti devastanti.
Inutile tenerle a montare dentro in attesa di un'esplosione perché sarà troppo, una cosa stile quattro cavalieri e, forse, anche un po' di più quasi da far dimenticare ad Icaro come si vola e lasciarlo afflitto e interdetto a terra col naso all'insù.
Le polveri sottili, la conseguenza fortissima delle parole esplose, la detonazione senza appello le cui conseguenze hanno la forza di cambiare il modo di leggere un'umanità, forse due, l'umano che parla e quello che, suo malgrado riceve le parole.
E quello che le parole le riceve suo malgrado, polveri sottili dentro le narici fino ai polmoni, potrebbe anche prenderle e impacchettarle per riciclarle domani, visto mai che possano tornare utili da vendere a qualcun altro o tenersele buone per poter loro dare la colpa.
Così si cerca di pronunciare Eyjafjallajökull, che è facile, molto più facile che pronunciare il proprio nome (il dolore del riconoscimento) o di quello altrui (il dolore del riconoscimento), che è facile, molto più facile che unire due nessi.
la scelta di andare con il fumo lacrimevole a sbattere in faccia alle detonazioni.

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