mercoledì 28 aprile 2010

LA SINFONIA DEL SENZA - Prima variazione

1 L'amputazione

Alla fine aveva accettato si sarebbe lasciata privare della mano.
Le congratulazioni piovevano sul suo capezzale neanche fosse un genetliaco o uno sposalizio.
Aveva accettato, quasi sorrideva perfino, tutta contenta per avere finalmente preso la risoluzione più notevole di una vita o due.
Si sarebbe lasciata privare della mano, un'idea folle le pareva fino a qualche ora prima quando la fissava ormai gonfia e ammalata, stava lì come un suppellettile morta,livida, inservibile.
Pareva che anche la mano la guardasse dalle dita, però più indifferente, come a dire "se mi lasci qui o mi lasci andare a noi cinque non cambia niente".
Ma non se ne voleva privare, apprezzava il fatto che si ostinasse a rimanere lì malgrado tutto, era lì anche lei da una vita o due, ma questo apprezzava più di tutto: il fatto che nella buona o nella cattiva sorte ci fosse sempre, per farsi una carezza.
C'era anche da dire che si trattava della sinistra, non la usava poi molto, forse serviva solo a mantenere l'equilibrio come la coda delle scimmie.
Ma brava, dicevano tutti, molto bene, ripetevano e lei tirava su la testa raccontandosi da un orecchio all'altro che era di certo la soluzione migliore quella di affrontare una privazione per non dover rischiare la vita, una scelta quasi obbligata, si leggeva in fronte da un occhio all'altro specchiandosi nei giubilanti astanti.
La tua mano ti è inservibile così com'è, dicevano, ti può solo fare più male, ti blocca malata e a letto, senza la mano potrai vivere di nuovo.
E si era lasciata irretire da tutta questa propaganda pro bisturi convinta davvero che potesse riprendere a vivere.
Aveva deciso di non accomiatarsi dalla sua mano neanche fosse un arrivederci a presto, non le interessava spiegarle le sue ragioni che erano ben vaghe e poi si sa, le mani non hanno volontà propria se no ben diversamente si sarebbero comportate e avrebbero evitato di farsi incancrenire.
Si sentiva anche leggermente trascurata negli ultimi tempi da quella mano un po' parassita che viveva di rendita di quell'altra, in altre faccende affaccendata, solo una cosa sapeva fare: accarezzare e non era abbastanza per preferire lei alla vita che le si prospettava allegra e piena di cose migliori di una mano sinistra.
E così aveva deciso di lasciarsi privare della mano, che tanto bene le aveva fatto e che adesso le faceva solo male.
Tolle, tolle, tolle!
Gridava la folla da sotto il balcone della sue lenzuola e così si fece fare.
Una mano di plastica le avevano promesso al risveglio e poi, forse, se la ricerca avesse proseguito come loro si auspicavano, gliene avrebbero impiantata una di qualcun'altra.
La sognò, quell'altra mano, durante l'atto di privazione, una fredda mano di plastica, utilizzabile, efficiente ma fredda come le sette di sera a febbraio.
La sognò, quell'altra mano, durante la potatura di sé, una mano più chiara, pallida, estranea che non la conosceva come quell'altra, che di certo come lei non sapeva accarezzare.
Così si svegliò in lacrime e fu molto il suo stupore nello scoprire che lì fuori, senza una mano sinistra, c'era ben poco da vivere, non ci si poteva neanche legare i capelli.
Ma il pianto più forte le venne nel sentire il dolore di lei, che più non era, parecchio più forte di quando era.
Piangeva con singhiozzi da apnea nel constatare che non poteva neanche tenere la sua autobiografia in mano e sfogliare le pagine.
Urlava e si strappava i capelli (solo sul lato destro) quando aveva capito che l'unica cosa di cui aveva bisogno era una carezza.

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