Ritrovarsi ancora qui, ad Hermosa dunque, tre anni dopo un primo libro, Sardinia Blues si chiamava, e raccontava di come dall’isola si voglia scappare via, di come chiuda, raccontava il suo mondo e di cosa voleva dire essere malati, vivere da malati qui dentro, malati, sognatori e laureati, come te, eri tu.
Le cose cambiano, si possono portare anche altrove le proprie malattie dell’anima e del corpo solo una cosa sanno fare le malattie di tutta la vita, seguirti e ritornare presenti a ricordarti che è un attimo, che quello che sei lo devi rubare a loro in un continuo tiro alla fune o se preferisci un gioco di cani che si contendono un pezzo di carne.
Quel pezzo di carne è il tuo corpo, tu e la malattia ve lo contendete, raramente siete alleate tu e la malattia, raramente, ma talvolta accade, come quando devi spiegare qualcosa a qualcuno o giustificarmi per un ritardo, (da diventare rossi di vergogna sì, ma lo si fa, si scende a patti con lei ogni tanto) ma adesso vedi sempre un po’ meno e se esiste una divinità che non faccia sì che perda gli occhi.
E quindi leggi in fretta, più in fretta che puoi, prima che te li porti via quegli occhi nero d’inferno, prima che faccia uno a zero per lei, non adesso, non adesso che hai quasi imparato a vivere, non adesso che sei altrove e sai cos’è vedere il mare dopo mesi, non adesso che sai piangere appena vedi le coste.
La questione è che non ti possono fare lo scherzo di portarti via gli occhi prima che abbia finito di leggere tra le righe del mondo.
Poi, in realtà, il punto è questo, tornare, il nostos.
Lo dici sempre, lo sai, ma tu sei come lui, come Odisseo, che ha bisogno di essere fuori per sognare di una Itaca perfetta alla quale tornare, ma sei stata anche Penelope, e lo sei ancora, ferma a tessere la tela in attesa di altri ritorni.
Sei Odisseo e Penelope assieme, ma quella di Penelope è un’altra storia, di quando Amore l’ha morsa in quell’angolo teso tra il collo e la spalla e se ti morde lì è finita, aspettare bisogna, aspettare un altro morso che liberi tutti dal ballo di San Vito, la tarantola velenifera che, una volta che ti punge, ripresenta ciclicamente il suo veleno; mortale, dicono che sia, ed eterna.
Aspettare allora bisogna, che passi o che torni, aspettare bisogna un altro morso o, semplicemente, bisogna aspettare che come’è arrivato, il mal d’amore, vada via.
E proprio una tarantola uguale uguale ci vuole per guarire, non un ragnetto che faccia da palliativo, proprio lei e proprio in quel punto, e così Penelope aspetta.
Invece di Penelopi ne hai incontrate molte in questi giorni, pochi, qui ad Hermosa, tutti che si aspettano qualcosa o non si aspettano più nulla basta che il verbo dell’attesa sia nelle loro vene, non aspettano più ma quando ti vedono e come se ti avessero aspettata da sempre.
Perlomeno puzzi di plastica nuova come una bambola appena uscita dal cellophan, la puzza del continente.
E poi sono passati tre anni e prendi in mano un altro libro.
L'epopea di quando l'isola era un mondo e non era molto tempo fa, sempre apprezzi questo modo di leggerla, la nostra isola di Hermosa e la sua gente, autoreferenziale?
Vagoni di autoreferenzialità e ti va bene, alleluia.
E lo sai tu cosa vuol dire guardare il mondo con degli occhi neri neri perché lo fai tutti i giorni, appena li apri, a proposito di autoreferenzialità e allora amen.
Così ti ritrovi con un libro tra le mani e con la consapevolezza delle partenze e del dolore del ritorno prima che ridiventi una gabbia e che tu sia di nuovo lì, incatenata, la ciclicità dei libri nella ciclicità della vita e anche se era il 1700 erotti la paura è la medesima.
Fare la spola con sé stessi e la sposa delle malattie è un lavoro a tempo pieno, così per dirlo una volta per tutte chiaro perché così, dicendolo agli altri, lo tieni per buono anche tu, visto mai che qualche stolto decida di compatirti giusto per evitare di doverlo compatire a tua volta.
Succede che poi alla fine non è poi molto, in fondo ti basta leggere, scrivere lettere da mettere in bottiglia per casuali destinatari e guardare il mare aspettando i pirati prima di decidere di lasciartelo alle spalle col vento a favore del gusto dolciastro dell'assenza.
Il cuore dei briganti
di Flavio Soriga
Bompiani 2010
recensione
e brava Lupablu! Recensione da STREGA!!!!! Complimenti
RispondiElimina:D ma grazie!
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